TARANTELLUCCIA, quinta canzone dell'Antologia, è del 1907; i versi sono di Ernesto Murolo, la musica del Cav. Rodolfo Falvo.

Ho definito questa canzone un autentico "Inno all'amore", la cui sublimazione è meravigliosamente espressa nei primi due versi del ritornello:

"Cu ammore è facile - tutt' 'o difficile"

il cui significato, semplice e chiaro, deve suonare come monito per tutti noi: quando ci si ama, anche le cose difficili diventano facili ed è il trionfo dell'amore!

Ernesto Murolo, padre di Roberto Murolo, il grande vecchio della Canzone napoletana, era per tutti, "Il pittore di Napoli", non perché dipingesse quadri, ma per l'abilità descrittiva della sua penna, con la quale riusciva a creare, a descrivere degli autentici quadretti di vita quotidiana. Col suo musicista preferito Ernesto Tagliaferri, sua anima gemella, Murolo ha scritto i versi di

  • "Napule ca se ne va",

  • "Mandulinata a Napule",

  • "Qui fu Napoli", in cui il poeta ha espresso in modo chiaro e compiuto il concetto della città che tira a campare;

  • la famosissima "Piscatore 'e Pusilleco",

  • "Tarantella internazionale", canzone di protesta contro le prime, timide avvisaglie di nuove tendenze musicali provenienti dall'estero e "profanatrici" della gloriosa canzone napoletana;

  • "Nun me scetà",

  • " 'A canzone d' 'a felicità",

  • " 'O cunto 'e Mariarosa" ed altre ancora.

 Del Cav. Rodolfo Falvo va subito detto che era impiegato alle regie Poste di Napoli e che all'epoca quasi tutti i poeti e musicisti dovevano avere un impiego per portare avanti la famiglia, in quanto, come diceva il poeta latino Giovenale, "Carmina non dant panem", letteralmente "I versi non danno pane". Per tutti i napoletani il cav. Falvo era "Il Mascagnino" per la sua straordinaria rassomiglianza  con Pietro Mascagni, l'indimenticabile autore di "Cavalleria rusticana".
Oltre a "Tarantelluccia", R. Falvo ha scritto la musica

  • di " 'O mare 'e Margellina", su versi di Aniello Califano;

  • della famosissima "Guapparia" del grande Libero Bovio, che più di una volta, con i suoi versi, si è preso "lo sfizio" di ridimensionare se non addirittura ridicolizzare la figura del "guappo" o del camorrista;

  • della dolcissima "Uocchie c'arraggiunate", su versi di Alfredo Falcone-Fierri e

  • della celebre "Dicitencello vuje", su versi di Enzo Fusco, poeta sensibile e delicato, che finì suicida dopo aver appreso di avere un male incurabile.

E’ questa la canzone più rappresentativa del 1930, che va a suggellare tutto l’arco dell’Epoca d’oro della canzone napoletana, mezzo secolo di incontrastati ed inarrestabili successi mondiali, la cui diffusione, in assenza degli attuali potenti canali massmediali, va ascritta alla instancabile ed encomiabile opera dei mai abbastanza elogiati “posteggiatori” napoletani, cioè suonatori ambulanti che con chitarra, mandolino e violino giravano in lungo e in largo l’Europa, non disdegnando spesso di varcare perfino l’oceano. I più bravi fra i posteggiatori di Napoli venivano invitati nelle corti di tutta Europa: Francesco Giuseppe d’Austria, Gustavo di Svezia, lo zar Nicola II di Russia facevano allietare sovente le loro mense e le loro serate da posteggiatori napoletani.